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«Non riuscivo proprio a vederci chiaro nella mia vocazione. Mi pareva di avere due teste, due cervelli, come certi granchi che si nascondono sotto le pietre». Chi parla è il “Leonardo del Novecento”: Leonardo Sinisgalli, da Montemuro, Basilicata. E i due cervelli cui si riferisce mentre si accinge a iscriversi all’università sono quello del poeta e quel del matematico. Due encefali, due menti che molti considerano agli antipodi.

Ma se leggete il nuovo libro di Gian Italo Bischi e Liliana Curcio, La matematica secondo Sinisgalli, pubblicato dalla Fondazione Leonardo Sinisgalli (2017, pp. 185, euro 7,00), vi accorgerete che la dicotomia è del tutto artificiosa. I due cervelli, in realtà, sono uno solo. Di poeta-matematico. O, se volete, di matematico perché poeta e di poeta perché matematico.

Ma Leonardo Sinisgalli è anche “un ragazzo del Sud”. Ed è dunque con questo cervello e con la sua condizione di figlio del Mezzogiorno d’Italia ad appena dieci anni, nel 1918, Leonardo inizia le sue migrazioni. Sempre più a Nord. Dapprima a Caserta e poi a Benevento, dove nel 1925 consegue la “bellissima licenza”, la maturità, con la media più alta della Campania. E si ritrova con il rovello di cui sopra: quale vocazione seguire: la matematica o la poesia?

Lui, il ragazzo, non vorrebbe risolverlo quel rovello. Ma l’ordimento universitario gli impone una scelta. E lui sceglie: la matematica. Anzi, la matematica pura. Si sposta un po’ più a nord, a Roma, e si iscrive al Corso di Laurea in Matematica e Fisica. Da alcuni decenni, ormai, Roma è il cuore della matematica italiana. E Leonardo incontra alcuni dei suoi più grandi esponenti: Guido Castelnuovo, Tullio Levi-Civita, Francesco Severi e il giovane Luigi Fantappié. Si tratta di geni che parlano al “cervello matematico” di Leonardo, che ne resta affascinato. Resteranno, quei maestri, i suoi punti di riferimento per tutta la vita. Ma il “cervello poetico”, mai messo a tacere, rivendica la sua quota. In capo a un paio di anni Leonardo pensa che il suo destino sia un altro. Cambia facoltà, si iscrive a ingegneria, rifiuta un’altra occasione storica al “cervello scientifico” che gli parla e si dedica con maggiore sistematicità alla poesia.

Qual è la storica occasione mancata? Be’, è il fatto che ai corsi di ingegneria incontra, tra gli altri, alcuni ragazzi che si chiamano Edoardo Amaldi ed Emilio Segré. Amici che rispondono sì quando il preside, Orso Mario Corbino, rende noto che è giunto a Roma proveniente da Firenze un giovane, Enrico Fermi, che a 27 anni conosce la “nuova fisica” (relativistica e quantistica) meglio di chiunque altro in Italia. Che sta reclutando giovani per costruire un gruppo di ricerca d’avanguardia. Qualcuno è interessato a seguire i suoi corsi e a spostarsi a fisica? Amaldi e Segré rispondono di sì: e ben presto diverranno famosi come “i ragazzi di via Panisperna” che fanno di Roma la capitale mondiale della fisica nucleare.

Leonardo Sinisgalli, che pure li frequenta, risponde di no. E continua sia il suo percorso di studi in ingegneria industriale (fino alla laurea, conseguita il 20 novembre 1931) sia la sua ricerca poetica: nel 1927 pubblica la sua prima raccolta in versi, Cuore, e nel 1934 si classifica primo nel settore poesia nel concorso “Littorali per la gioventù”. La giuria che ne riconosce i meriti è formata da Riccardo Bacchelli, Giuseppe Ungaretti e Aldo Palazzeschi.

La sua storia professionale è nota. Il cervello di matematico-poeta lo portano a diventare un… pubblicitario. Il fatto è che, dopo alcuni anni trascorsi a Milano, nel 1936 si presenta ad Adriano Olivetti e come referenza gli propone il Quaderno di geometria, scritto per la rivista Campo Grafico in cui, come succede spesso nelle opere del giovane lucano, matematica e poesia si incontrano. Sarà stata la lettura di questo saggio, sarà stato il colloquio convincente, cero è che nel 1938 Olivetti non solo lo assume, ma gli offre la direzione dell’Ufficio Tecnico di Pubblicità.

Il giovane meridionale è giunto a Ivrea ed è diventato, appunto, un pubblicitario. Mai scelta fu più felice: come immagine per propagandare le macchine da scrivere Olivetti, infatti, Sinisgalli sceglie una “rosa nel calamaio”. Un’immagine elegante che, come scrivono Bischi e Curcio, parla da sola: ora ci sono le macchine (sa scrivere), il calamaio può diventare un portafiore.

Delle capacità del pubblicitario matematico-poeta si avvarrà anche l’ENI: il famoso “cane a sei zampe” è stato disegnato, sì, da Luigi Broggini, ma su un’idea di Leonardo Sinisgalli.

Nel corso di questi anni il “ragazzo del Sud” continua a coltivare la poesia. Ma non si dimentica la matematica. Mai. E non solo perché pubblica opere – come il Quaderno di geometria del 1935 o il Furor Mathematicus del 1934 – ma perché in tutta la sua produzione i riferimenti alla sua antica e mai sopita passione sono continui.

La matematica non è solo una (la principale) fonte di ispirazione. È qualcosa di più ci dicono Bischi e Curcio nella loro ricostruzione che è anche una ricca antologia. È la grammatica mentale di Leonardo; è rigore e sicurezza, è linguaggio sintetico ed essenziale.

Per questo in Sinisgalli poesia e matematica si fondono, perché il poeta Sinisgalli pensa matematico. E ne ripropone la capacità di sintesi, l’essenzialità, l’immediatezza dell’intuizione, la continuità tra innovazione e tradizione. Caratteri che appartengono (devono appartenere, secondo Sinisgalli) anche alla poesia.

Forse è per questo che il “Leonardo del Novecento” si riferisce continuamente al Leonardo del Rinascimento e ne condivide l’amore per la geometria.

La geometria
colpisce i puri
di cuore

sostiene, in versi. E, ancora, in prosa: «La Geometria non è una scrittura, ma una catena di metafore».

Ma non c’è nulla di meglio per comprendere quanto inscindibile resti il cervello matematico-poetico di Sinisgalli che leggere il libro di Gian Italo Bischi e Liliana Curcio.

E questa unità cerebrale travasa, arricchendola, nell’attività giornalistica di Leonardo Sinisgalli, quando dirige riviste aziendali – come Pirelli, per l’omonima azienda, o come Civiltà delle macchine, per Finmeccanica – che il “ragazzo del Sud” propone non come mero veicolo pubblicitario ma come, ricordano Bischi e Curcio: «una delle massimi espressioni culturali di quei tempi». Realizzando un connubio pressoché inedito: l’incontro tra poesia (matematica) e tecnica.

Siamo nel pieno degli anni ’50. Sta nascendo una nuova società, fondata sulla conoscenza e in particolare sulla conoscenza scientifica, di cui lo sviluppo tecnologico né è una plastica espressione. Sinisgalli pensa che il ruolo del poeta e del matematico, il ruolo dell’intellettuale a tutto tondo, sia quello di cogliere il carattere progressivo di questa trasformazione, ma anche di comprenderla, la trasformazione, per umanizzarla e governarla.

L’incontro con la poesia farà bene alla tecnica. Ma l’incontro con la tecnica farà bene alla poesia (e alla letteratura in generale). Un incontro anche fisico: Sinisgalli propone la visita nelle fabbriche, anche per ragazzi e bambini. Perché, scrive: «Contrariamente a quello che tanti credono: le idee non si covano con il sedere». Per essere creativi non devi stare seduto alla scrivania. Devi conoscere il mondo e i luoghi dell’innovazione. Devi conoscere le fabbriche.

Insomma, il suo progetto è chiaro: costruire una nuova “civiltà delle macchine” per realizzare un nuovo Rinascimento.

Le riviste di Sinisgalli dimostrano che anche l’industria può promuover cultura e che la cultura industriale può essere diffusa, perché il “Leonardo del Novecento” sa che questa è la grande sfida culturale e democratica dei nostri tempi.

Pirelli e poi la Civiltà delle macchine diventano così luoghi di alta divulgazione interdisciplinare. Dove ancora una volta poesia e matematica, ma anche letteratura, filosofia, scienze naturale e meccanica si incontrano e si intrecciano. Mai però, in maniera banale.

Questo passo è un’autentica lezione di buona comunicazione:

Un messaggio, si dice, per essere capito dev’essere scritto per i più umili di mente. Ma nessuno riuscirà a convincermi che i più umili di mente sono necessariamente idioti. Questa riduzione ai minimi termini mi ripugna.
Sotto la semplificazione di ogni cosa quasi sempre è nascosta una straordinaria pigrizia del cervello. Semplificare significa veramente raccogliere il massimo di energia nel minor numero di segni (vedi i teoremi, vedi i versi). La verità è peregrina, enigmatica. La verità non è ovvia.


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