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Strumenti, che solo in senso esteso possiamo chiamare macchine per calcolare infatti esistono, come usa dire, dalla notte dei tempi. È probabile che anche gli uomini del paleolitico ne utilizzassero qualcuno di tipo estremamente semplice, su cui effettuare conti come con le dita di una mano. Di certo i Babilonesi nel XXV secolo e i Cinesi nel XXI secolo a.C. usavano l’abaco che è una macchina, certo non automatica, per effettuare conti in maniera non solo più semplice, ma anche più veloce. Strumenti di questo genere sono diventati, nel corso dei secoli, meccanismi (quindi macchine) sempre più sofisticati.

È il caso del “meccanismo di Antikythera”, che qualcuno considera il primo, autentico computer meccanico al mondo. È stato ritrovato nel 1902 nei fondali prospicienti l’isola di Creta. Ma molto probabilmente è stato realizzato a Siracusa intorno al 150 a.C. o forse al 250 a.C.. Qualcuno ipotizza che sia opera diretta di Archimede, il grande matematico e fisico siracusano morto per mano di un soldato romano nel 212 a.C.. Di certo il meccano è, insieme, complicato, complesso e geniale. Grande con un grosso volume (30 cm per 15 cm), è costituito da una ventina di ruote dentate, alcune estremamente miniaturizzate (uno dei settori, grande non più di 7 millimetri, contiene 5 ingranaggi) ed è dotato di un differenziale. Grazie a questi e altri accorgimenti questo computer meccanico è capace di calcolare con precisione i moti del Sole, della Luna con le sue fasi, dei cinque pianeti, i mesi, gli equinozi e persino le date delle Olimpiadi.

In realtà il “meccanismo di Antikythera” non è l’unico strumento sofisticato del genere in uso in pieno ellenismo. Macchine per lo studio dei cieli e il calcolo astronomico erano in uso in diversi luoghi. Anche se pochi sono giunti fino a noi e nessuno, per quanto a nostra conoscenza, è sofisticato come quello di Antikythera. Certo però che proprio in quell’epoca fu inventato l’astrolabio, uno strumento prezioso per il calcolo dell’altezza, appunto, di un astro rispetto all’orizzonte. L’inventore dell’astrolabio è probabilmente Ipparco, uno dei più grandi astronomi ellenistici e di ogni tempo.

La scienza e la tecnologia ellenistica fu dimenticata, in buona sostanza, dai Romani, ma fu ripresa e sviluppata in epoca araba. I matematici e gli astronomi di religione islamica che tra l’VIII e il XV secolo hanno messo a punto congegni sofisticati per il calcolo, soprattutto astronomico, sono svariati. Ricordiamo solo AbūRayhān al-Bīrūnī, che nell’XI secolo mette a punto planisferi e astrolabi piuttosto avanzati, come quello basato sul calendario lunare, e JamshīdMasʿūd al-Kashī, che nel XV secolo realizza uno strumento capace di prevedere la “congiunzione” tra due pianeti.

La prima volta che viene utilizzata la parola “computer”, a quanto se ne sa, è ovviamente in Inghilterra, nel 1613, in un’opera, The Yong Mans Gleanings, in cui il poeta nato a Burnishead nella contea di Cumbria, Richard Braithwaite, riferisce di aver sentito parlare del “truest computer” (del computer più preciso), ovvero del miglior aritmetico che sia mai apparso sulla Terra. Braithwaite si riferisce a un uomo, naturalmente, capace di fare calcoli in maniera estremamente veloce [3].

Probabilmente non è un caso che la parola computer sia stata confezionata da un poeta. Ma soprattutto non è un caso che sia stata confezionata all’inizio del XVII secolo, quando in Europa la matematica inizia a incontrare la fisica. Intorno al 1580 il francese François Viète introduce i simboli in algebra, distinguendo tra “logistica speciosa” e “logistica numerosa”. Nel 1617 lo scozzese John Napier inventa i logaritmi (e propone l’uso della virgola nella numerazione decimale). E immediatamente dopo, tra il 1620 e il 1630, gli inglesi Edmund Gunter, William Oughtred e Richard Delamain mettono a punto dei regolo calcolatori – dei computer a mano – molto efficienti nel calcolarli.

Non si tratta di novità assolute. Non aveva forse, già qualche lustro prima, l’italiano Galileo Galilei da un lato reso sempre più sofisticati i compassi e regoli utilizzabili per numerosi tipi di calcolo e dall’altro inventato il “celatone”, uno strumento in gradi di calcolare la longitudine di una nave senza punti di riferimento terrestri sulla base del calcolo dei moti dei satelliti di Giove?

Una novità di non poco conto è, tuttavia, la macchina messa a punto nel 1623 da Wilhelm Schickard: è in grado sia di effettuare addizioni e sottrazioni in maniera completamente automatica sia moltiplicazioni e divisioni in maniera semi-automatica. Sfortunatamente la macchina andò distrutta in un incendio e poco dopo Schickard morì. L’esistenza di quel computer automatico non è provata in maniera certa, ma è tuttavia molto verosimile, perché è stato di recente ricostruito sulla base delle indicazioni scritte lasciate dal tedesco contenute in alcune lettere a Johannes Kepler.  

Ma, sia come sia, la domanda di matematica, da parte dei fisici e dei tecnici, fa sì da un lato che si sviluppi la disciplina – basti ricordare la geometria analitica “inventata” da René Descartes nel 1637 e il calcolo differenziale, sviluppato alla fine del Seicento da Isaac Newton e da Gottfried Leibniz – e dall’altro si sviluppino regolo calcolatori e altri strumenti in tutto il XVII e poi anche nel XVIII secolo diventi sempre più accelerato.

 Emblema di questa convergenza sono Blaise Pascal e una sua macchina – nota come “macchina di Pascal” o anche “pascalina” – realizzata tra il 1642 e il 1644. È un congegno con una serie di ruote dentate, capace di effettuare addizioni e sottrazioni (ma non moltiplicazioni e divisioni) con numeri fino a dodici cifre e di tener conto dei riporti. Il matematico e filosofo francese ne realizza il primo esemplare per aiutare il padre, funzionario delle imposte, a tenere la sua contabilità. In seguito ne produrrà almeno una cinquantina di esemplari. La “pascalina” diventa subito piuttosto nota, tanto da guadagnarsi, a oltre un secolo di distanza, un discreto spazio nell’Encyclopédie di Diderot.

(2. continua)

 

Note

[3] Oxford English Dictionary (Third ed.), Oxford University Press. March 2008.

(L'immagine di copertina è di Federico Leva)


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