Ho conosciuto Gerardo Marotta alla fine degli anni settanta ed era già una figura straordinaria. Come avrei ricostruito qualche tempo dopo, nei cinquanta, con il “Gruppo Gramsci” Marotta aveva rappresentato una delle prime alternative “di sinistra” alla politica del Partito Comunista, a Napoli segnato profondamente dalla figura di Giorgio Amendola e del segretario Salvatore Cacciapuoti, politica in cui convivevano la ferrea adesione alla Unione sovietica, ancora pienamente stalinista, ed una visione molto orientata “a destra” dello scontro sociale.
Il Marotta che conobbi aveva però già da tempo abbandonato l’impegno politico, era stato un grande avvocato ed aveva formulato e dato prima vita all’idea dell’Istituto Italiano di Studi Filosofici. Rendendo disponibili le proprie risorse personali Marotta aveva cominciato a sviluppare una grande biblioteca ed un centro di studi e di ricerca che aveva lo scopo di ospitare a Napoli studiosi e ricercatori, italiani ed internazionali, permettendo ai giovani ed ai meno giovani di frequentare seminari e convegni di grande levatura ed incontrare personalità di fama internazionale. Ciò in completa autonomia rispetto alle grandi istituzioni universitarie cittadine, superando barriere e gelosie.
Nello spirito di un illuminista del settecento per Marotta non c’erano chiusure tra privato e pubblico: tutti ricordano le iniziative dei primi anni a Viale Calascione 7, nella sua bellissima casa anche se, al tempo stesso, si rese evidente la necessità di dare una vita più stabile all’Istituto. Questo problema, che sembrava risolto con l’attribuzione del Monumento Nazionale dei Girolamini all’Istituto da parte del Ministero dei Beni Culturali, fu bloccato dal drammatico terremoto del 1980 e delle volontà speciose di chi preferì utilizzare l’area dei Girolamini per ospitare i senza casa. Fu un uomo politico democristiano, Vincenzo Scotti, che agevolando la concessione del palazzo Serra di Cassano all’Istituto, contribuì a garantire all’Istituto una sede idonea.
Serra di Cassano è uno dei luoghi simboli della Repubblica del 1799, il palazzo il cui portone fu serrato dal principe Serra di Cassano dopo che il suo giovane erede, Gennaro, era stato giustiziato dalla feroce reazione borbonica. Ed a Serra di Cassano, nel ricordo della Repubblica Partenopea, si svilupparono anni di grandissima attività culturale in cui seminari, corsi e convegni videro la presenza del gotha della cultura internazionale, umanistica e scientifica.
Senza grandi teoremi, sull’”economia della cultura”, sulla “necessità di valorizzare il fatto culturale”, sull’opportunità di far dialogare cultura umanistica e cultura scientifica, attraverso l’Istituto queste cose si realizzarono e ne beneficiarono persone e gruppi.
Soprattutto, fu apprezzabile in quegli anni la capacità, dell’Istituto, di sostenere le iniziative proposte dall’esterno, in quanto valide, senza che alcuna logica di appartenenza pesasse in un senso o nell’altro. Non posso, a questo proposito non ricordare la figura del prof. Antonio Gargano, sino all’anno passato segretario generale dell’Istituto, impareggiabile organizzatore di cultura di cui si può ben dire che gran parte della sua vita sia stata “donata” all’istituto.
Poi arrivò il declino: il decremento degli investimento pubblici, già palese alla metà degli anni novanta, cominciò a colpire anche l’impresa di Marotta e rese la situazione dell’Istituto via via sempre più difficile. Si arrivò ad una sorta di “commedia degli equivoci” quando tutte le istituzioni assicuravano il loro interessamento ed il loro intervento ma le condizioni dell’Istituto peggioravano rapidamente.
In vita di Gerardo Marotta le migliore energie mobilitatesi per la sopravvivenza e per lo sviluppo non sono bastate per fermare il declino: prendiamo allora l’impegno di proseguire le sue battaglie culturali e di civiltà, per Napoli e per tutto il Paese.