Componente indiscusso dello stile di vita italiano, parte della cultura e dell’identità personale, il rapporto degli italiani con il cibo vive in questi anni di crisi economica vivaci dinamiche sociali che non prescindono dalla presenza di controversie scientifiche, in grado di creare dissonanza cognitiva in ampie frange di cittadini. Difficile trovare fonti affidabili, difficile farsi un’opinione corretta, ancora più difficile colmare l’asimmetria informativa amplificata dalla proliferazione di fonti, campagne di marketing e dai media.
Quando si parla di controversie scientifiche, generalmente ci si riferisce a quei dibattiti o dispute in cui la conoscenza scientifica e tecnologica non è ancora stabile e condivisa all’interno della comunità scientifica (Latour 1987) e in cui i protagonisti coinvolti si trovano in una situazione di disaccordo (Callon et al. 2001). In questa forma non consolidata la controversia può arrivare a invadere il dibattito pubblico attraverso la diffusione di argomentazioni a prima vista irrazionali, polemiche e contraddittorie. Può raggiungere il quotidiano di ogni individuo, generando allo stesso tempo interrogativi e dubbi capaci di attanagliare sia gli esperti sia il pubblico; ed è questa la fase più complessa, quella in cui per il cittadino è più difficile l’interpretazione.
Esempi tipici di controversie sono le dispute su OGM, nanotecnologie, grandi opere ecc… ma quando si parla di cibo il cittadino diventa consumatore, gli interessi economici prevalgono, le fonti scientifiche si confondono con quelle commerciali e in un Paese in cui il cibo è identità nazionale spesso è difficile anche solo comprendere che si tratta di vere e proprie controversie scientifiche.
Segue uno spaccato delle più recenti tendenze, mode e regimi alimentari (vegetariani, vegani, reducetariani, macrobiotici ecc..), con particolare attenzione a un caso in cui emergono forti rotture tra la scienza ufficiale, la voce dei ricercatori mediaticamente più visibili e i messaggi veicolati dai media e soprattutto dal Web.
Mode e tendenze alimentari
Negli ultimi quarant’anni la dieta degli italiani è profondamente cambiata, salute e consumo consapevole sono le nuove priorità diventate un importante trend nelle abitudini alimentari. Aumentano i vegetariani (del 10%), i vegani (del 2%) si fanno strada anche i fruttariani, i crudisti, i reducetariani, i macrobiotici, con un consumo di prodotti “bio” in crescita di sei volte dagli anni 2000[1]. Le ragioni sono varie e di natura economica, sociale, culturale, ideologica oltre che semplicemente salutistica.
Partiamo da qualche definizione per ricostruire il contesto sociale contemporaneo tra scelte alimentari, tendenze e controversie.
Si definisce vegetariano chi non assume carni di animali terrestri e marini. I modelli più diffusi e studiati in letteratura sono due: 1. modello latto-ovo-vegetariano (LOV), che esclude tutti i tipi di carne, ma include formaggi, latticini, uova, miele; 2. modello vegano (VEG), che esclude tutti gli alimenti di origine animale e i loro derivati.
Nel contesto dell’alimentazione a base vegetale (plant-based), esistono altri regimi che limitano fortemente anche alcuni alimenti vegetali quali: il crudismo (esclusivamente verdura, frutta fresca e secca, semi, cereali, fagioli germogliati, latte, uova, consumati non cotti); il fruttarismo (esclusivamente frutta fresca e secca, semi e verdura a frutto); la dieta macrobiotica (nella sua variante vegetariana, include il consumo di cereali, legumi, verdura, alghe, prodotti a base di soia, escludendo latticini e uova).
La scelta vegetariana, e in modo particolare quella vegana, assume spesso connotazioni di natura etica poiché presuppone che gli animali siano esseri senzienti con la capacità di provare emozioni e sentimenti. Pertanto il vegano è contrario allo sfruttamento animale e a qualunque condizione che comporti sofferenza agli animali, e non solo si astiene dal consumo di alimenti di origine animale, la filosofia vegan si ripercuote anche su molti altri aspetti della sua vita (abbigliamento, spettacolo, ecc..).
Esiste anche una via intermedia: ovvero il reducetarianesimo[2], nuovo movimento emergente, che promuove la riduzione del consumo di carne in quanto benefico per la salute e per l’ambiente nella direzione estrema e consapevole di perseguire la via del “salutismo” e della sostenibilità.
I vegetariani e i vegani in Italia sono complessivamente il 7,1% della popolazione: 4,2 milioni, in costante crescita nel corso del 2015; quasi un terzo (31%) ha scelto questo tipo di alimentazione per rispetto nei confronti degli animali, un quarto (24%) perché fa bene alla salute e una minoranza (9%) per tutelare l’ambiente[3].
Dinamica sociale che si affianca a questa tendenza è l’aumento di prodotti, servizi, informazioni, risorse che possiamo definire “di settore”. Proliferano ristoranti, scaffali nei supermercati, prodotti pronti, programmi tv, riviste, siti internet, blog; spesso generando vere e proprie battaglie ideologiche contro gli onnivori. Sono sempre di più anche i personaggi famosi che si dichiarano pubblicamente vegetariani o vegani come Brad Pitt, Anne Hathaway, Paul McCartney, Bill Clinton. Moda, stili di vita, scelte alimentari e ideologiche diventano temi di discussione quotidiana amplificati da opinion leader forti, come per esempio scienziati molto famosi, ma anche blogger e influenzer[4]. Media tradizionali e nuovi si integrano al sistema economico cercando di cavalcare questi nuovi trend e offrendo più informazione ed e-commers.
Il cittadino si trova con difficoltà a gestire stimoli e informazioni contraddittorie, comprendere e proteggersi ed è costretto a informarsi e fare scelte. Basti ricordare i recenti episodi di contaminazione alimentare, quali quelli della BSE, dei pesci al mercurio, dei polli allevati con prodotti contenenti tracce di diossina, in cui il problema della sicurezza nel settore alimentare si è posto in primo piano; recentissimi i dibattiti sull’olio di palma e sul rischio legato all’assunzione di carne e latticini. Temi che per la loro natura di estrema attualità e interesse trovano una vastissima amplificazione mediatica.
Tra gli esempi appena citati assume vera e propria forma di controversia la recente questione legata alla carne. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato il 26 ottobre 2015 la classificazione delle sostanze cancerogene innescando una vera e propria controversia socio-scientifica sugli alimenti di origine animale. La confusione generata nel consumatore in questo caso deriva da una non univocità delle fonti scientifiche amplificata dal rumore mediatico. Il cittadino si trova di fronte a raccomandazioni diametralmente opposte provenienti da diverse autorità scientifiche.
Le posizioni delle autorità scientifiche
Il rapporto dell’OMS classifica la carne rossa nella categoria 2A, ovvero sostanze “probabilmente cancerogene”. Questa categoria si basa su “limitate evidenze” epidemiologiche che hanno mostrato un’associazione positiva tra consumo di carne rossa e sviluppo di tumore del colon-retto. Evidenze limitate significa che è stata osservata una correlazione positiva tra l’esposizione all’agente e il cancro, ma che altre spiegazioni non possono essere escluse.
La carne sottoposta a processi di lavorazione (ovvero affettati, salumi, wurstel, ecc..) è invece classificata nel gruppo 1, categoria utilizzata quando vi sono prove sufficienti di cancerogenicità nell’uomo. In altre parole, vi sono prove convincenti che l’agente provoca il cancro in base a valutazioni di studi epidemiologici che dimostrano lo sviluppo di tumori negli esseri umani esposti all’agente cancerogeno, in questo caso la carne processata.
La notizia di per sé non è di certo una novità, almeno per la comunità scientifica, tuttavia ha scatenato molto clamore conquistando prime pagine e l’interesse da parte dei media e mandando in tilt i consumatori con non poche ripercussioni socio economiche[5].
Il Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro (WCRF)[6] in seguito alla revisione di tutti gli studi sul rapporto fra alimentazione e tumori, ha pubblicato nel 2007 le “Cancer prevention reccomandation”, ovvero dieci raccomandazioni per prevenire il tumore. Anticipando di diversi anni l’OMS, tra le altre raccomandazioni suggerisce di limitare il consumo di carni rosse e astenersi totalmente dal consumo di carni processate.
Mentre sul consumo di carne trasformata e di carne rossa esistono delle evidenze scientifiche più o meno forti e condivise, così non si può dire per gli altri prodotti di origine animale, come latte, formaggi e uova sui quali il dibattito è ancora molto aperto.
I due principali documenti italiani di riferimento sull’alimentazione sono: le linee guida per una sana alimentazione[7] che esprimono la posizione ufficiale del Ministero della Salute riguardo la nutrizione (l’ultima revisione del documento risale al 2003); e i LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana) con cui la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) fornisce valori nutrizionali di riferimento[8] (documento aggiornato nel 2014).
Sia le linee guida sia i LARN consigliano varietà nella scelta dei prodotti alimentari inclusi quelli di origine animale. In entrambi i documenti si suggerisce di alternare il consumo di carne, pesce, uova, latte e derivati rispettando determinate frequenze settimanali di consumo. Non contengono alcun riferimento o suggerimento per i vegetariani fornendo consigli e raccomandazioni per una sana alimentazione indirizzati alla popolazione “onnivora”.
Tuttavia la SINU, in occasione del Congresso Nazionale svoltosi a Firenze nel dicembre 2015 ha presentato un documento con il quale prende una posizione nei confronti dei regimi vegetariani. In questo testo si fa riferimento all’adeguatezza e salubrità delle diete vegetariane equilibrate, riferendosi ai due modelli principali (LOV e VEG), peraltro i più diffusi e mettendo in particolare i VEG in guardia rispetto alle possibili carenze nutrizionali di vitamina B12. Al contrario, vengono considerati “restrittivi”, e quindi a rischio di inadeguatezza, crudismo, fruttarismo e dieta macrobiotica, “i cui acclamati effetti positivi sulla salute non si evidenziano se esaminati con metodo scientifico oppure, quando valutati, non risultano supportati dall’evidenza”[9].
La letteratura scientifica
Esiste un’ampia quanto controversa letteratura scientifica sul tema dell’alimentazione vegetariana vs onnivora. Una consistente letteratura documenta una minore prevalenza di diabete mellito, ipertensione e ipercolesterolemia nei vegetariani in confronto agli onnivori[10]. Inoltre è stata riscontrata anche una minore prevalenza e una mortalità per cardiopatia ischemica e ictus[11].
Da un autorevole studio austriaco realizzato su 1.320 soggetti provenienti dall’Austrian Health Interview Survey, emerge una realtà opposta[12]. La dieta vegetariana è associata ad un più alto status socio-economico e a un indice di massa corporea[13] più basso, ma anche a una salute peggiore con un’incidenza maggiore di cancro e allergie oltre a una più bassa qualità di vita e a un più alto tasso di disturbi mentali rispetto agli onnivori.
A proposito di disturbi psichiatrici, talvolta la preoccupazione eccessiva per la propria alimentazione può sfociare in un vero e proprio disturbo mentale, una linea sottile che divide il mangiare sano e l’attenzione patologica verso la propria alimentazione, quest’ultima definita anche ortoressia. Tendenze ortoressiche sono state osservate in soggetti vegetariani e vegani[14]. Questi regimi alimentari richiedono, pur non toccando necessariamente il patologico, un buon grado di auto-disciplina e pianificazione.
Oltre all’aspetto psichiatrico, la letteratura scientifica sulla questione “dieta vegetale” spazia dai temi legati alla prevenzione tumorale, ai benefici cardiovascolari e metabolici e il numero di pubblicazioni scientifiche sul tema è in forte aumento negli ultimi anni. Con una semplice ricerca su Pubmed, motore di ricerca di riferimento per la letteratura scientifica biomedica, cercando “vegatarian diet” si possono consultare 3.349 lavori e inserendo “vegan” le pubblicazioni sono 666.
Dai papers scientifici al dibattito mediatico
Pur essendo gli italiani nelle ultime posizioni della graduatoria europea per l’utilizzo abituale di Internet, oltre il 70% lo consulta, e sei persone su dieci ne fa un ottimo uso, ovvero finalizzato ad informarsi[15].
A questo proposito, l’attenzione degli italiani a un’alimentazione più sana e naturale è confermata anche dalla grande mole di informazione a riguardo diffusa dai media, e soprattutto dai new media.
Più informazione disponibile si traduce in maggiore opportunità democratica per i cittadini di crearsi delle opinioni e districarsi, grazie al senso critico, nella vastità di fonti spesso contraddittorie che la rete offre loro. In una società, che ormai viene sempre più spesso definita, della conoscenza[16] ci si aspetta che il cittadino eserciti una cittadinanza scientifica[17] e che sia in grado di muoversi tra fonti contraddittorie e discordanti e capace di perseguire un modello di consumo sostenibile dal punto di vista ambientale, etico e salutistico.
Nel caso della “carne cancerogena”, che abbiamo tratteggiato tra controversia scientifica e socio-scientifica, le difficoltà non sono poche, in quanto al rumore mediatico si è aggiunta una non uniformità delle posizioni scientifiche amplificata da alcuni scienziati visibili, che possiamo definire “star” che hanno promosso la scelta vegetariana attraverso interviste, libri e il mezzo televisivo.
Sicuramente il caso più eclatante è quello di Umberto Veronesi[18], convinto sostenitore della scelta vegetariana. Con linguaggio chiaro e semplice, Veronesi espone il suo pensiero e al tempo stesso fornisce un esempio diretto e coerente di ciò che sostiene.
Altra “star” è Franco Berrino, epidemiologo dei tumori presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Berrino è autore di libri e saggi che promuovono un’alimentazione basata su cereali integrali, legumi, verdura e un po’ di frutta, la diminuzione del consumo di carni rosse, e l’eliminazione di alimenti ricchi di grassi e zuccheri o coltivati con l’utilizzo di pesticidi. È intervenuto nelle trasmissioni Le Iene, Report e Le invasioni barbariche e le sue interviste[19] hanno avuto oltre 200.000 visualizzazioni su youtube.
Impossibile inoltre tralasciare il fenomeno scatenato dalla diffusione del libro The China Study che si è rivelato un instant bestseller ed è facilmente trovabile in tutti i negozi di libri e soprattutto nei supermercati. Il libro è scritto da Colin Campbell che racconta i dati del The China Project, uno studio scientifico sull’alimentazione in Cina condotto a cavallo degli anni Settanta e Ottanta. Il libro è stato accolto dalla comunità vegana e vegetariana con grande entusiasmo in quanto cerca di dimostrare con prove scientifiche che occorre eliminare completamente i cibi animali dalla propria dieta.
Più un caso mediatico che scientifico, si tratta di un singolo studio che non dimostra in modo inequivocabile che la dieta vegana sia più salutare.
Questi sono solo alcuni macro-esempi che tratteggiano una controversia socio-scientifica. Altri tratti distintivi sono da ricercare tra la mole di informazioni e i toni usati nei new media; la rete ospita atteggiamenti di grande rigore e rigidità verso la nutrizione e si può osservare nei numerosissimi blog e siti dedicati all’alimentazione vegetariana o vegana, una sorta di fanatismo che non ammette errori e con una forte tendenza a colpevolizzare chi si discosta dal modello VEG.
Dal dibattito ai comportamenti
Spinti da queste pressioni, di cui il caso “carne cancerogena” rappresenta solo l’apice, di fatto gli italiani si comportano inserendo nella propria dieta cibi esotici tanto che nel 2015 i loro consumi sono aumentati del 18%: tanta soia, prodotti senza glutine, integratori dietetici ad alimentari che confermano l’interesse per il benessere personale. Interessante notare anche l’espansione del mercato “bio” che ha raggiunto i 2,5 miliardi di euro, il 2,5% dell’intero comparto alimentare, sei volte di più in confronto agli anni 2000[20]. Probabilmente la ricerca di alternative proteiche non animali ha spinto verso un maggiore consumo di legumi secchi (+7% dal 2014, con un fatturato stimato a fine 2015 di oltre 100 milioni). Tassi di consumo superiori del 2% rispetto allo scorso anno si sono registrati anche per gli aromi, le spezie, il miele ed il riso, un carrello della spesa decisamente più bilanciato dal punto di vista salutistico[21]. In tutto questo si iniziano a vedere timide campagne pubblicitarie a favore della dieta mediterranea e a sostegno di un’alimentazione varia e diversificata.
Cambiano i consumi, cambiano e si ampliano le aspettative di informazione, cambia la percezione e l’attenzione verso variabili “verdi”, sostenibili del vivere e dell’alimentarsi quotidiano.
Conclusioni
La medicina basata su prove di efficacia (Evidence-based medicine, EBM) ovvero “il processo della ricerca, della valutazione e dell’uso sistematico dei risultati della ricerca contemporanea come base per le decisioni cliniche” prevede che le raccomandazioni debbano essere basate su solide prove quantitative derivate da una ricerca epidemiologico-clinica di buona qualità.
A oggi esistono molti studi sulla prevenzione cardiovascolare e tumorale ma non esistono forti evidenze scientifiche sull’efficacia di diete vegetariane e vegane in quanto i risultati degli studi disponibili sono contrastanti e la comunità scientifica non è unanime.
L’alimentazione è parte della cultura collettiva e individuale, e in quanto tale facilmente influenzabile da mode, tendenze, convenienze che vanno rapidamente a cambiare il sistema sociale e le abitudini alimentari, stravolgendo così la nostra “cara vecchia tradizione mediterranea”. In controversie di natura socio–scientifica tra gli opinion leader particolarmente incisivi e destabilizzanti abbiamo visto anche gli “scienziati star” in grado di diventare modelli di comportamento e influenzare le scelte alimentari dei consumatori che riconoscono in questi medici l’autorità scientifica come se a parlare attraverso la loro voce fosse l’intera comunità scientifica.
La scienza procede con tempi lunghi ed evidenze empiriche che nel campo dell’alimentazione necessitano di dati longitudinali raccolti su generazioni di pazienti; mode e tendenze per loro natura sono rapide ed estemporanee, influenzate da dinamiche che nulla hanno a che fare con la conoscenza scientifica e così ci troviamo di fronte a un vero e proprio paradosso, un cortocircuito tra scienza della nutrizione e mode alimentari.
La soluzione non è a portata di mano né per la scienza che, di fronte a studi discordanti e mancanza di evidenze univoche, non aggiorna le proprie dichiarazioni ufficiali a cui il cittadino, la comunità medica e gli organi di informazione possono fare riferimento; né per il consumatore che ha a disposizione un’unica arma per tutelarsi: aumentare le sue conoscenze e esercitare il proprio senso critico di fronte alla mole di fonti a cui può accedere. Questo perché ormai siamo in una società (della conoscenza) che non fa sconti a chi non sia in grado di informarsi in autonomia su scienza e tecnologia e sulle complesse dinamiche che caratterizzano il loro rapporto con la società.
Bibliografia
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Note
[1]Nielsen, Cereal Retail Sales in Italy, 2015 (www.nielsen.com).
[2]“Si tratta di un’identità e una comunità composta da individui che si sono impegnati a mangiare meno carne rossa, pollame, pesce e carne di qualsiasi altro animale” così si definisce il movimento alimentare lanciato da Brian Kateman, giovane ricercatore dell’americana Columbia University nel dipartimento di Ecologia e biologia ambientale. www.reducetarian.org
[3] Eurispes, Rapporto Italia 2014.
[4] Influenzer, è un termine ombrello che copre un insieme piuttosto eterogeneo di soggetti che, a seconda del focus e dell’attività, hanno un potenziale di influenza maggiore rispetto alla media degli individui, grazie a caratteristiche quali: frequenza di comunicazione, personale capacità di persuasione, dimensione o centralità di un social network, reale o percepita autorità, conoscenza, posizione o relazione. Pietro, T., Leader Digitali, Franco Angeli, Milano, 2001.
[5] Dati IRI Infoscan Census, 2015 (www.iriworldwide.com/IRI/media/IRI-Clients/Sole-24-ore-carne-12-novembre2015_2.pdf).
[6] La missione del WCRF è promuovere la prevenzione primaria dei tumori attraverso la ricerca e la divulgazione della conoscenza.
[7] Le Linee guida sono redatte dall’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione e pubblicate su www.salute.gov.it
[8] I LARN forniscono informazioni nutrizionali utilizzabili per la ricerca e pianificazione nutrizionale, per la definizione di politiche sanitarie e commerciali, per la formulazione di indicazioni salutistiche, l’etichettatura nutrizionale e per lo sviluppo di nuovi alimenti e integratori alimentari.
[9] Società Italiana di Nutrizione Umana, Diete vegetariane, documento SINU. XXXVI, Congresso Nazionale SINU, Firenze, 2-4 Dicembre 2015.
[10]Craig W.J. Health effects of vegan diets, Am. J. Clin. Nutr. 2009;89(Suppl. 5):1627S–1633S. doi: 10.3945/ajcn.2009.26736N.
[11] Huang T., Yang B., Zheng J., Li G., Wahlqvist M.L. “Cardiovascular disease mortality and cancer incidence in vegetarians: A meta-analysis and systematic review”. Ann. Nutr. Metab. 2012;60:233–240.
Crowe F.L., Appleby P.N., Travis R.C., Key T.J. “Risk of hospitalization or death from ischemic heart disease among British vegetarians and nonvegetarians: Results from the EPIC-Oxford cohort study”. Am. J. Clin. Nutr. 2013 doi: 10.3945/ajcn.112.044073.
[12] Burkert N.T., Muckenhuber J., Großchädl F., Rásky É., Freidl W. “Nutrition and Health – The Association between Eating Behavior and Various Health Parameters: A Matched Sample Study”. Plos One. 2014; 9(2): e88278
[13]L’Indice di Massa Corporea o BMI (Body Mass Index) è un dato biometrico, espresso come rapporto tra peso e quadrato dell’altezza che identifica la condizione ponderale di un soggetto definendolo sottopeso, normopeso, sovrappeso o obeso. In questo studio il BMI dei vegetariani è meno associato a sovrappeso e obesità rispetto a quello degli onnivori.
[14]Missbach B., Hinterbuchinger B., Dreiseitl V., Zellhofer S., Kurz C., König J. When Eating Right, “Is Measured Wrong! A Validation and Critical Examination of the ORTO-15 Questionnaire in German”. PLoS One. 2015; 10(8): e0135772.
[15] Eurispes, Rapporto Italia, 2014.
[16] “In una società della conoscenza non basta avere accesso e acquisire un numero sempre maggiore di informazioni ma occorre sviluppare quelle metacompetenze, abilità e capacità di acquisire strategicamente le informazioni e le conoscenze che permettono agli individui di essere capaci di affrontare i continui cambiamenti della società odierna e di costruire sempre nuove forme di sapere condiviso”. Alberici, A., Imparare sempre nella società della conoscenza, Bruno Mondadori, Milano, 2002.
[17] “Il termine cittadinanza scientifica indica l’insieme dei diritti dei cittadini all’informazione e alla partecipazione nell’ambito della percezione pubblica della scienza della tecnologia. Tuttavia, il termine non è ancora pienamente elaborato e istituzionalizzato sia in letteratura che nella pratica politica nazionale ed europea”. Cerroni A., Simonella Z., Manuale di sociologia della scienza, Carocci, Roma, 2014.
[18] Umberto Veronesi è il direttore scientifico dell’IEO (www.ieo.it ) e nel 2003 ha dato vita alla Fondazione Umberto Veronesi, una realtà che si occupa di sviluppare la cultura e la promozione della ricerca scientifica.
[19] Nel video www.youtube.com/watch?v=OuTJ3BrsOFI, Franco Berrino descrive quali sono le caratteristiche di un’alimentazione utile a prevenire patologie e vivere in salute.
[20]Rapporto Coop 2015. Il Rapporto Coop offre i risultati di uno studio annuale che restituisce una fotografia dettagliata dei consumi degli italiani.
[21] Nielsen, rapporto Tendenze e Previsioni, 2015.