fondoScienzae NO2

È uno strano argomento quello della razza. Quando ne parli in certi ambienti, c’è sempre qualcuno che ti ricorda che la cosa è trita e ritrita, che quasi nessuno presta fede a queste idee superate, e che quei pochi che ancora ci credono lo fanno solo per ignoranza. Sul versante opposto, quando provi a spiegare che dal punto di vista scientifico le razze non esistono vieni guardato come il solito intellettualoide da strapazzo e apostrofato: «le razze ci sono amico mio, altroché, fatti un giro sui mezzi pubblici e poi mi racconti».

Poi succede che un giorno un politico dica (per farla breve): «la razza bianca è in pericolo a causa dell’immigrazione selvaggia», e allora parte la bagarre. Titoloni in prima pagina, indignazione di alcuni, soddisfazione di altri (sondaggi alla mano), ma sempre con clamore e enfasi. Esperti, a volte di lungo corso, a volte di giornata, intervistati da radio e televisioni che dicono la loro con più o meno sussiego. Intanto facebook, che è notoriamente il luogo del pensiero riflessivo e del confronto civile, si riempie di commenti, molti dei quali sprezzanti, beceri o apertamente razzisti. Perché allora?  Succede che, volenti o nolenti, l’argomento della razza ci tocca nel profondo. Dici “razza” e nella mente aleggiano parole di segno opposto a cui siamo comunque sensibili: stirpe, sangue e terra, orgoglio etnico contro eguaglianza, accoglienza, solidarietà. Ma non fraintendetemi, non voglio ridurre la questione a una semplice lotta tra il bene e il male. Tanto per dirne una, rivendicare che i valori democratici e sociali che un popolo ha faticosamente affermato nel corso della sua storia non sono “negoziabili” in nome di qualsivoglia tradizione, religione o ideologia non è certo il male, anzi. Ovviamente, mi riferisco ai valori della costituzione e, per fare un riferimento alla cronaca, a quelle pratiche che vanno contro il diritto individuale all’autodeterminazione nella scelta del coniuge o nello stile di vita.

Niente paura. Non voglio tornare sull’ormai annoso tema della presenza della parola razza nella costituzione, dato che ho già trattato questo argomento in due commenti pubblicati su questo sito (6 luglio e 7 novembre 2016). Vorrei usare lo spazio restante per parlare del testo con il quale gli antropologi italiani hanno voluto rispondere all’ennesima recrudescenza del dibattito sulla razza nel nostro paese. Prima ancora di entrare nel merito, faccio presente che il documento di cui stiamo parlando è condiviso sia dagli antropologi culturali che da quelli biologici. La cosa non è affatto banale: anche se ci occupiamo molte volte degli stessi temi, viviamo vite separate (noi, i bio tra gli “scienziati”; loro, i cult tra gli umanisti) e troppo spesso non riusciamo a lavorare assieme. Siamo (ahimè) un esempio di come le due culture facciano fatica ad incontrarsi, perfino quando ci sono tutte le premesse per una vera integrazione reciproca. Questa volta, alleluia, sembra che qualcosa di buono sia successo; il risultato dimostra quanto la sintesi tra “antropologie” (uso il plurale in senso strumentale) sia necessaria, in particolare su temi di grande impatto sociale. Infatti, la dichiarazione fa un passo in avanti rispetto a molti degli interventi di questi giorni sull’argomento, introducendo quattro punti che lascio alla vostra riflessione:

  • Se si parla di razza si parla innanzitutto di diversità umana, è da lì che dovrebbe partire ogni discorso; così come se si parla di riscaldamento globale bisogna partire dal clima.
  • Se si parla di diversità, non possiamo affrontare il problema limitandoci a considerare quella genetica o poco più ma, per quanto sia meno facile da comunicare, dobbiamo spiegare anche il valore e il senso di quella culturale; è proprio su quest’ultima che si concentrano, oggi più di ieri, molti dei pregiudizi che alimentano il razzismo.
  • Il tentativo di infilare le differenze tra noi umani in scatole separate e di diversa “qualità” (le razze, appunto), per far credere che sia la diversità ciò che crea i muri e le ineguaglianze tra le persone e i gruppi, riguarda la biologia come la cultura. Per essere efficace, un discorso sui legami tra razza e razzismo non deve perdere di vista i due piani e le loro molteplici connessioni.
  • Se come individui e come gruppi non avessimo mescolato geni e istanze culturali diverse sin dalle nostre origini, non saremmo la specie ipersociale, superadattabile e altamente creativa che sappiamo. In definitiva, chi usa la diversità come strumento di discriminazione, non commette solo un atto socialmente pericoloso, ma nega la natura profonda dell’umanità.

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