Nel 2018 si festeggiano i trent’anni di attività dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Il presidente Mattarella è andato nei giorni scorsi a rendere omaggio a quelli che sono i più grandi laboratori sotterranei di fisica astroparticellare del mondo e dove lavorano ricercatori provenienti da diversi Paesi. L’idea di costruirli lì dove sono, sotto il Gran Sasso appunto, venne a Antonino Zichichi, una decina di anni prima. Zichichi, all’epoca direttore dell’INFN, pensò infatti di sfruttare l’occasione della costruzione del tunnel a doppia carreggiata sull’autostrada A24 Roma-L’Aquila-Teramo per abbattere i costi della realizzazione di un grande laboratorio sotterraneo.
Perché si volesse costruire un laboratorio sotto 1.400 metri di roccia ce lo spiega Lucia Votano nel suo nuovo libro La via della seta (Di Renzo Editore, pp. 127, euro 12,50). Nel corso degli anni Settanta aveva cominciato a svilupparsi un nuovo campo di studi: la fisica astroparticellare, punto di congiunzione tra la fisica delle particelle elementari, la cosmologia e l’astrofisica. I laboratori sotterranei erano diventati l’ambiente ideale per queste ricerche perché la roccia terrestre assorbe più efficacemente dell’aria gli sciami di particelle che arrivano sulla Terra da tutte le direzioni. Si era capito quindi che sottoterra si potevano captare più facilmente i flebili segnali provenienti dal cosmo e gli eventi rari, come le deboli interazioni di particelle che potrebbero costituire la materia oscura dell’universo o di neutrini. La costruzione dei laboratori fu un momento di rinascita dopo quella che il fisico Edoardo Amaldi aveva definito la “Caporetto” della ricerca italiana, seguita a due fatti di cronaca clamorosi avvenuti a metà degli anni Sessanta: l’arresto di Felice Ippolito, segretario generale del CNEN e fautore di una via italiana al nucleare, e quello di Domenico Marotta, ex direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, che ebbe la conseguenza di ridimensionare notevolmente il ruolo dell’istituto nella ricerca.
Lucia Votano è stata la prima donna chiamata nel 2009 a dirigere i laboratori del Gran Sasso e nel suo libro la storia della fisica degli ultimi quarant’anni si intreccia con la storia di quello che è accaduto alla scienza nel nostro Paese. Da un’epoca felice in cui l’Italia partecipava attivamente alla costruzione del CERN di Ginevra e nasceva l’INFN, in cui due premi Nobel, Bovet e Chain, venivano chiamati a lavorare all’Istituto Superiore di Sanità, in cui in Italia si costruiva il primo personal computer e Natta vinceva il Nobel per la chimica, ad anni in cui il Belpaese smette di credere alla ricerca.
Votano, che ha trascorso una vita a inseguire i neutrini, non paga, continua a cercare di raggiungerli e lo fa spingendosi fino in Cina. Il fatto è che il neutrino è un fantasma inafferrabile, “la cosa più vicina al niente che esista”, difficilissimo da rilevare e misurare. Sui neutrini, benché siano tra le particelle più numerose dell’universo, si sa ancora molto poco e per rispondere alle domande sulla loro natura e su quale sia il loro ruolo nell’evoluzione dell’universo, i fisici stanno preparando nuovi esperimenti, sempre più grandi, complessi e tecnologicamente avanzati. Oggi è in Cina che è in costruzione l’esperimento di prossima generazione per lo studio di queste particelle alla cui realizzazione sta partecipando anche Votano. Si chiama JUNO, sarà operativo entro il 2021 ed è situato in un nuovo laboratorio sotterraneo che si sta scavando nel sud della Cina, nella provincia del Guandong. JUNO si propone di stabilire quale sia l’ordine delle masse dei tre tipi di neutrini conosciuti (elettronico, muonico e tauonico), di misurare con precisione i parametri caratteristici del fenomeno delle oscillazioni (ovvero il fenomeno per cui i tre neutrini si trasformano l’uno nell’altro) e sarà anche un eccellente rivelatore per i neutrini solari, per quelli che vengono dal profondo della Terra e per quelli emessi quando si spegne una stella massiccia.
La via della seta ha portato Lucia Votano e la fisica astroparticellare dall’Occidente fino in Asia. Oggi Giappone, Cina e Corea del Sud hanno un peso preponderante in questo campo di ricerca. Un cambiamento strabiliante avvenuto in trent’anni e che ha coinciso con massicci investimenti in ricerca e formazione. Proprio quelli che mancano in Italia – nota Votano – dove probabilmente non si è ancora capito che benessere di un Paese e sviluppo della cultura nel senso più ampio sono strettamente correlate perché: «scienza e cultura umanistica svolgono entrambe, e congiuntamente, il ruolo di motore dello sviluppo di una nazione».