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Email, motori di ricerca e cloud tra le principali fonti di inquinamento. Greenpeace valuta gli sforzi delle multinazionali per ridurre le emissioni. Ma anche il singolo utente può fare la differenza.

 

Quante volte al giorno mandiamo email, facciamo ricerche sul web o utilizziamo il cloud per salvare le nostre foto o i documenti di lavoro? Queste azioni, alle quali ormai non diamo più nessun peso, considerandole totalmente gratuite e prive di qualsiasi impatto ambientale, celano in realtà un lato nascosto. Non solo il web ma anche la tecnologia di consumo utilizza spesso energia prodotta da fonti non rinnovabili lungo tutta la filiera produttiva.

Da una ricerca pubblicata nel 2013 dal Centre for Energy Efficient Telecommunications dell’Università di Melbourne la ICT (Information and Communication Technology) produce 830 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno, il 2% delle emissioni globali.

Scienza e 2018 06giugno 2 Niccolo Cupellini2

È proprio l’enorme richiesta di energia da parte delle aziende e dei loro data center, che immagazzinano tutte le nostre informazioni e smistano le nostre mail, la principale causa delle emissioni. Nel 2012 l’interno settore IT ha consumato 1817 miliardi di kilowattora, secondo solo a Cina e Stati Uniti.

Le multinazionali del settore sono consapevoli di questi dati e si stanno muovendo per ridurre le loro emissioni, principalmente utilizzando fonti energetiche ecosostenibili, come le energie rinnovabili. A valutare questi sforzi ogni anno Greenpeace pubblica diversi report con vere e proprie pagelle che permettono di valutare come le aziende tech si stanno muovendo per ridurre la diffusione dell’inquinamento atmosferico.

Nel suo ultimo report, Guide to Greener Electronics 2017, Greenpeace ha analizzato le 17 principali multinazionali dell’elettronica di consumo.

Le aziende sono state valutate utilizzando tre parametri di riferimento: riduzione dell’emissione di gas a effetto serra attraverso l’utilizzo di energie rinnovabili, progettazione sostenibile e utilizzo di materiali riciclati ed eliminazione delle sostanze chimiche pericolose sia dal prodotto finito che dalla catena di produzione.

Le aziende cinesi produttrici di smartphone, Xiaomi, Vivo e Oppo, si sono aggiudicate il gradino più basso per quanto riguarda tutte le categorie analizzate. Male anche Google, Samsung, Amazon e Sony che, pur avendo ottenuto risultati migliori rispetto ai rivali cinesi, risultano bocciate nella classifica finale. Raggiungono a fatica la sufficienza Lenovo, Hp, Microsoft e Dell mentre promossi (quasi) a pieni voti sono Apple e Fairphone, fondazione olandese che ha sviluppato uno smartphone Android modulare ed eticamente corretto in tutte le sue fasi, da quella di estrazione delle materie prime, all’assemblaggio fino al suo smaltimento.

Non solo la produzione di hardware, ma il consumo di energia dei servizi web incide notevolmente sulle emissioni di gas inquinanti nell’atmosfera. Lo streaming video ha gravato per il 63% del traffico Internet globale nel 2015 e si suppone possa raggiungere l’80% nel 2020.

Sempre Greenpeace ha pubblicato il report Click Clean in cui vengono analizzate le principali aziende informatiche e del web in relazione alle fonti di energia utilizzate.

Ancora una volta è Apple ad aggiudicarsi il gradino più alto, utilizzando energie da fonti rinnovabili per l’83%. Seguono i due colossi di internet, Facebook e Google. Tra i peggiori risultano Samsung, Oracle e la cinese Baidu.

Molto male anche il settore di video streaming, in cui solo Youtube ha raggiunto la sufficienza, mentre Amazon Prime Video e Netflix hanno utilizzato solo il 17% di energie da fonti sostenibili.

Per permettere a ogni singolo utente di valutare l’impatto delle principali applicazioni è stato creato il sito www.clickclean.org.

Non solo le grandi aziende del settore, ma anche il singolo utente può contribuire a ridurre l’inquinamento generato dall’utilizzo di internet. Se infatti accendere una lampadina o guidare un’automobile nel traffico sono comunemente considerate azioni inquinanti, molto meno conosciuto è l’impatto ambientale generato, ad esempio, da una singola email di testo.

Secondo l'Agenzia francese per la gestione dell'ambiente e dell'energia (ADEME) una singola mail da 1 Mb consuma 19 grammi di CO2, considerando sia il consumo di energia da parte del PC che dei server sparsi nel mondo. I ricercatori hanno calcolato che un'azienda con 100 dipendenti che inviano in media 33 messaggi di posta al giorno, per circa 220 giorni all'anno, produce all'incirca 13,6 tonnellate di CO2. Come dire 13 viaggi andata e ritorno Parigi-New York.

Anche le singole ricerche sui motori di ricerca non sono esenti dall’inquinamento. Digitare l’URL direttamente nella barra degli indirizzi taglia le emissioni di CO2 del 75%. In quest’ottica stanno nascendo motori di ricerca ecosostenibili, come Ecosia.org, che piantano alberi grazie agli introiti pubblicitari. A oggi sono oltre 26 milioni gli alberi piantati.

Nella nostra società, sempre più connessa e digitale, manca ancora una reale consapevolezza degli effetti inquinanti delle nuove tecnologie e del web. Come i dati dimostrano, anche il singolo utente può dare il suo contributo. Ma siamo sicuri che ne sia davvero a conoscenza?


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