Il 5 giugno, giornata mondiale dell’ambiente, quest’anno è stato dedicato alla lotta alla plastica. In particolare all’inquinamento dei mari e degli oceani messi sempre più a dura prova dagli indiscriminati scarichi di plastica.
E molti ne hanno scritto facendo ricorso a dati che dovrebbero fare impressione.
Come ha messo in evidenza il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) ogni anno vengono sversati negli oceani ben 8 milioni di rifiuti plastici che inquinano e distruggono tutti gli habitat sottomarini. L’acqua è una fonte di vita e come tale dovrebbe essere presa in considerazione e protetta. Non solo l’acqua potabile. Anche l’acqua di mari e oceani che costituiscono il 70% della superficie terrestre. Mentre il consumo di plastica non fa altro che devastare gli oceani e uccidere intere specie. La responsabilità viene generalmente attribuita all’uso dei sacchetti di plastica, ma questi ormai sono sempre più spesso sostituiti da quelli biodegradabili. Il problema è più serio con riferimento alle bottiglie di plastica delle quali, su tutta la Terra, vengono acquistate 1 milione al minuto le quali solo in piccolissima parte possono essere riciclate. La maggior parte, invece, finisce tra i rifiuti e di qui al mare il passo è breve.
Quel 5 giugno se ne è molto discusso cercando di alimentare la dovuta preoccupazione per la ritardata soluzione del problema. Il 5 giugno. Fermo restando, come spesso capita, che “passato il santo, passata la festa”.
Dovendo scriverne credo che uno dei problemi di più coinvolgente importanza e di sicuro pericolo per l’economia e per l’importanza della salute sia quello delle micro plastiche (piccole particelle di materiale plastico generalmente più piccole di un millimetro) che, ingerite a pieni bocconi, dai pesci arrivano sino alle nostre tavole. Oltre a limitare la quantità del pescato.
Perciò, anche in questo caso, più che le cose scritte varrebbero quelle affidate alla penna, matita o pennello di un umorista come quello che in poche battute riassume il problema in questa vignetta pubblicata sul numero 1259 (8-14 giugno 2018) dell’Internazionale.
Non siamo ancora a questi livelli, ma poco manca. Perché come ci dicono le previsioni della Ellen MacArthur Foundation in collaborazione con il World Economic Forum, entro il 2050, la quantità di plastica negli oceani supererà quella dei pesci. Oggi si calcola la presenza di circa 165 milioni di tonnellate di plastica che tra una trentina d’anni potrebbe arrivare ad oltre 900 superando i pesci la cui presenza è stimata in 895 milioni di tonnellate.
La situazione è particolarmente seria nel Mediterraneo che rappresenta solo l’1% delle acque internazionali ma contiene il 7% di tutte le microplastiche della Terra. Quasi la metà delle tartarughe Caretta caretta si trovano morte per la loro ingestione, come accade al 30% dei capodogli.
Ce ne dà notizia il WWF che il 5 giugno il Wwf ha reso noti i risultati di un allarmante report internazionale dal quale risulta che nel Mediterraneo il 95% dei rifiuti è composto da plastiche. In piena coerenza con quanto avviene in Europa nel suo complesso che essendo la seconda produttrice di plastica della Terra ed accumulando 27 milioni di tonnellate di rifiuti plastici all’anno ne ricicla solo un terzo.
I contenuti di questo rapporto, dicevo, sono allarmanti, ma il WWF ritiene che siamo ancora in tempo per disinnescare il rischio. Lo sostiene per voce della sua presidente della sezione italiana Donatella Bianchi secondo la quale: «Non possiamo permettere che (il Mediterraneo) soffochi nella plastica: abbiamo bisogno della collaborazione fra cittadini, istituzioni e aziende per salvarlo da un nemico subdolo, che ormai è entrato nella catena alimentare».
E sì. Perché poco meno di un quinto dei pesci che fanno parte del nostro consumo alimentare (tonno e pesce spada) si “nutre” delle 130 mila tonnellate di microplastiche che ogni anno finiscono nel Mediterraneo. Delle quali 90 al giorno sono sversate dall’Italia. Con danni economici e turistici che, secondo le valutazioni del WWF costano 62 milioni di euro l’anno.
Ma mangiare pesce fa bene alla salute. E apprendiamo con piacevole stupore da un comunicato dell’ANSA, che gli Italiani insieme con i Sudafricani sono i maggiori consumatori al mondo di prodotti ittici (95%). È un dato recente fornito da una ricerca del Marine Stewardship Council condotta all’inizio del 2018 in 22 mercati internazionali, dall’Australia agli Stati Uniti. Tra le principali motivazioni di acquisto dei prodotti ittici, al primo posto c’è la freschezza. Il 78% è consapevole che acquistando prodotti ittici provenienti da fonte sostenibile e certificata si contribuisce alla salute degli oceani. L’84% degli intervistati sostiene che le dichiarazioni di sostenibilità delle aziende dovrebbero essere supportate da una certificazione indipendente accompagnata da etichette chiare. Cresce (20%) la “comprensione” di cosa ci sia dietro il marchio Blu MSC che aiuta i consumatori nelle loro scelte. «I dati confermano che è sempre più radicata la consapevolezza che ognuno ha una responsabilità personale nel momento in cui, da consumatore, può fare una scelta per muovere un ulteriore passo verso la sostenibilità» sottolinea Francesca Oppia, Program Manager di MSC Italia. «I dati mostrano che In Italia sono stati fatti importanti passi avanti sul piano della sostenibilità dei prodotti ittici. Noi di MSC riteniamo che le sfide future siano sostanzialmente due: offrire anche nel fresco prodotti ittici certificati, e lavorare con i pescatori locali per promuovere la sostenibilità dei prodotti ittici dei nostri mari».
Tutto bene. E c’è motivo di rallegrarsene. Ma mi viene in mente un ricordo. Quello del film di Fellini Boccaccio ’70 e, in particolare, dell’episodio Le tentazioni del dottor Antonio. Il dr. Antonio è Peppino De Filippo e la tentatrice è Anita Ekberg ritratta in un manifesto che reclamizza il consumo di latte, il tutto accompagnato dal famosissimo motivetto: «Bevete più latte, il latte fa bene. Il latte conviene a tutte le età».
È così anche per il pesce, a prescindere dalle tentazioni boccaccesche?
Certamente sì. Lo sostiene tra gli altri Catherine Leclercq primo ricercatore dell’Inran (Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione) ricordando i risultati di uno studio commissionato dalla FAO e dall’OMS sui rischi e benefici del consumo di pesce.
Ne risulta che il pesce costituisce una importante fonte proteica e contiene acidi grassi a catena lunga (l’EPA e il DH) importanti per lo sviluppo neurologico. E utili per la funzione di prevenzione delle malattie cardiovascolari; e proprio per questo si consiglia di utilizzare pesce almeno 2-3 volte a settimana.
In confronto a questi benefici i rischi stanno nelle cose appena dette. Cioè nei contaminanti (non solo, ma soprattutto, le microplastiche). Ma questo problema riguarda solo il pesce di grossa taglia e quindi tutti i predatori del mare che vivono per un lungo periodo e si nutrono di altri pesci (pesce spada e tonno) che andrebbero consumati per non più di 100 grammi a settimana per il pesce spada e non più di due porzioni di tonno a settimana.
La preferenza assoluta cade quindi sui piccoli pesci azzurri come le sardine e le alici che, tra l’altro, sono ricchi di Epa e Dha.
Perciò, intanto che a livello internazionale e, soprattutto, mediterraneo si riuscirà a bloccare la produzione e scarico in mare di rifiuti plastici, lunga vita a tonni e pesci spada.