È giunto alla terza puntata Napoli in love. Tanti quanti sono gli anni da quando Nino Daniele, l’Assessore alla Cultura del Comune di Napoli, dando concretezza ad un’idea di Maurizio De Giovanni, si inventò un evento di successo: “Innamòrati di Napoli con gli innamoràti di Napoli”. Un invito ad amare di più Napoli sino ad innamorarsene e di farlo con chi, avendo già dimostrato innamoramento e amore, può aiutarlo in questo obiettivo. Chi? quelli che sono stati definiti “ciceroni illustri”. Persone, cioè, di una certa notorietà napoletana che hanno mostrato disponibilità a farlo. I quali saranno anche illustri, ma poiché guide non si nasce, ma si diventa, sono affiancati ciascuno da una delle guide della associazione di categoria Guide Turistiche Campania. Il tutto nel giorno di San Valentino o nelle immediate vicinanze di questa data quando non cadesse di domenica.
Certo l’invito sembra rivolto soprattutto a chi “viene da fuori”. Ma non solo. Perché non sono pochi i napoletani di nascita che hanno bisogno di guardarsi intorno; scendere nelle viscere della loro città; conoscerne in profondità natura e storia per capirla. E, di conseguenza, amarla.
Le tre “puntate” sino ad ora svolte hanno registrato grande interesse e successo di pubblico. Anche malgrado le intemperanze meteorologiche che sono pure da aspettarsi nel “corto e amaro” mese di febbraio. Ma anche questo è amore.
Grazie alla cura di Piero Antonio Toma ognuna delle tre circostanze è stato anche il motivo per pubblicare in una sorta di antologia i testi redatti dalle singole guide importanti, i “ciceroni illustri”, dal titolo significativo di Napoli in love. E siamo al numero 3.
Pur essendo redatto da 24 “guide” questo libro non è una guida. O, per lo meno, non solo una guida. Non perché, se lo fosse, sarebbe di ridotta importanza, ma perché, di più, è la lettura che indica un modo di stare a Napoli e un invito a venirci.
Stare a Napoli? Venirci?
Venirci sembra non sia difficile. Anzi sono sempre di più i turisti che approfittano di ponti e fine settimana per venire a Napoli. E magari se ne innamorano e ritornano.
Né solo turisti. Tanto che alla domanda che si pongono non pochi napoletani delusi e sconfortati dal quotidiano napoletano e, cioè, “ma chi ci viene a Napoli?” e “perché?” le risposte possono essere e talora sono diverse.
Per esempio la scelta della città da parte di Apple per l’istituzione, primo in Europa, di un centro di formazione per sviluppatori di App. e il più recente Corso riservato, nel campus di San Giovanni a Teduccio, a 50 giovani con laurea magistrale in discipline ingegneristiche economiche o in fisica col quale è nata una nuova Academy in seno all'ateneo Federico II in partnership con Ferrovie dello Stato Italiane: “FS Mobility Academy”. Un corso post-laurea di alta formazione dedicato ai sistemi integrati della mobilità e dei trasporti
Basterebbe l’immediata diffusine sui “social” della mela annurca morsicata per indurre a capire come e perché si scelga un luogo nel quale preparazione accademica si sposa con ironia. Così come ad ulteriore supporto c’è stato lo slogan che vede la Apple “da Cupertino al Vesuvio”, per sottolineare l’esistenza di un’altra icona napoletana.
Ma la domanda resta sempre Napoli perché?. La preparazione poteva avvenire anche a Monza che ha vicino il politecnico di Milano. O a Cuneo non distante dal politecnico di Torino. Perciò la risposta che più mi piace e mi convince è quella che già altre volte ho anticipato e auspicato ricordando che da tempo e, soprattutto, con riguardo al settore terziario dell’economia, le scelte dei luoghi in cui insediarsi sono diventate ubiquitarie. Lo è perfino l’industria che non ha bisogno di avere sotto casa materie prime e fonti di energia che si può facilmente fare trasportare dove le servono, per cui questo “dove” l’industria come il terziario, il terziario avanzato, lo scelgono spinti da altre motivazioni.
È questo insieme di motivazioni differenti dal tradizionale passato che si fa rientrare in quello che viene definito urbanesimo concorrenziale. Per cui oggi la concorrenza tra le città è libera e lo è tanto più per accogliere quadri dirigenti, ricercatori, artisti, e via elencando. Perché è una concorrenza basata su risorse del tutto diverse da quelle che avevano caratterizzato la prima rivoluzione industriale. Insomma, pur vivendo in una società industriale, questa oggi è una società nella quale un peso rilevante viene attribuito alla società immateriale. Se è così è opportuno riflettere sul ruolo di altre risorse la cui disponibilità può essere tale anche da modificare i tradizionali fattori di localizzazione delle attività produttive. Ed è necessario anche riflettere sul modo in cui l’ambiente – naturale, costruito, vivibile e integro – possa costituire con le altre un’importante, vincente risorsa.
Insomma – senza offesa per Monza e Cuneo che richiamavo nel precedente esempio – Napoli è più bella; è più amena; è più ricca di storia e tradizioni culturali la cui mancanza, secondo il geografo statunitense Peter Hall, pone in una “condizione svantaggiata” le città che ne sono prive.
Il vantaggio insomma è dato oggi dalla immaterialità delle risorse che hanno anche un’altra caratteristica: una città o ce le ha o no; se non le ha non se ne può dotare.
Napoli ne è dotata, ma, almeno nella visione di alcuni viaggiatori del Grand Tour, è pur sempre il paradiso abitato da diavoli. Tuttavia se quei diavoli hanno mangiato dall’albero vietato e contrariamente ai nostri progenitori non ne hanno nemmeno ricavato la conoscenza “del bene e del male”, glielo si può più facilmente spiegare di quanto sia toccato ad Adamo ed Eva.
Voglio dire che le amenità ambientali che hanno fatto parlare di paradiso ci sono sempre per quanto in parte deturpate e se queste da sole non costituiscono un valido motivo di attrazione è sull’altro settore che occorre investire: idee, soldi e azioni. Le idee non mancano; i soldi toccano agli investitori pubblici e, soprattutto, privati; le azioni toccano a chi amministrando le une (le idee) e gli altri (gli investimenti) deve realizzare le condizioni per competere, vincendo, nell’urbanesimo concorrenziale.
Perché la Apple apre una strada, ma è solo un potenziale inizio. Per il resto e per altri non manca nemmeno lo spazio: ad Est e ad Ovest.
Dunque il venire a Napoli può avere motivi diversi. Resta il problema dello starvi. Perché a starvi sono sempre meno. In quarant’anni, dal 1971 al 2011 i residenti sono diminuiti di oltre 260.000 persone; dal 2011 Napoli non è più una città milionaria essendo scesa al disotto del milione di residenti.
Dunque i napoletani non ci stanno, ma se ne vanno. E se ne vanno soprattutto i giovani e laureati 54mila dei quali negli ultimi dieci anni hanno lasciato la Campania emigrando (al governo non c’era ancora Salvini) al Nord e all’estero.
Certo non si possono accusare di disamore questi e gli altri, soprattutto giovani, che se ne sono andati. Ma, piuttosto, si può accusare di tradimento l’innamorata che non riesce a trattenerseli ancorché figli e nipoti.
Napoli. «Napoli – come ha scritto Fabrizia Ramondino in Star di casa – dove è così difficile vivere e che invoglia tanto a partire, che è così difficile abbandonare e che costringe sempre a tornare, diventa, più di molti altri, il luogo emblematico di una generale condizione umana nel nostro tempo: trovarsi su un inabitabile pianeta, ma sapere che è l’unico dove per ora possiamo star di casa».
Questa sarebbe un’altra interpretazione dell’amore. Ma da un po’ la “costrizione” a tornare diventa sempre più rara. Perciò l’obiettivo da realizzare è che vi si possa “star di casa” non perché, per quanto inabitabile è l’unico posto in cui potere stare, ma perché è diventato fra quelli in cui conviene starvi.