La su per le montagne,
fra boschi e valli d’or,
tra l’aspre rupi echeggia
un cantico d´amor.
…
“La montanara, ohè!”
si sente cantare,
cantiam la montanara
e chi non la sa?
Molti hanno sentito cantare e magari canticchiato questo antico canto popolare – La montanara – scritto nel 1927 e diventato un ricorrente coro in qualche modo inneggiante all’ambiente montano.
Forse oggi nessuno si sognerebbe di scrivere versi di quel tipo col rischio di incorrere nelle ire di qualche montanaro “autentico” per il quale la montagna è essenzialmente sovrumani silenzi e profondissima quiete.
La realtà ci dice che non è così, tuttavia da inizio aprile le cronache quotidiane sono interessate al concerto che Jovanotti dovrebbe tenere in Alto Adige al Plan de Corones (oltre duemila metri di altezza) il 24 agosto. Vi sono interessate le cronache perché il famoso alpinista Reinhold Messner vi si oppone trattandosi di «un evento senza senso dove si cerca il silenzio».
Chi è stato su vette montane sa che il silenzio non vi è proprio di casa date le numerose presenze turistiche non sempre rispettose dell’intorno. Il passo dello Stelvio, in pieno Parco nazionale (uno degli ambienti montani più caotici di quanti ne abbia conosciuti), mi è sembrato “esemplare” da questo punto di vista.
Ma, tornando all’impatto del concerto, vorrei invitare Jovanotti, Messner e organizzatori a prendere esempio dal Vesuvio: una montagna, un vulcano fra l’altro, molto, ma molto più visitato di tante altre, dove la musica è di casa.
Il problema, se così lo vogliamo definire, sta nella fauna selvatica la quale ha i suoi tempi, modi di vita, esigenze, aspettative: un insieme di cose che quotidianamente caratterizzano le risposte dell’ambiente in cui vive. E vale per tutti, naturalmente, per ogni tipo di fauna e di esseri umani. Se un giorno un evento viene a turbare o addirittura a sconvolgere questo insieme di cose se ne può anche seriamente risentire.
Un giorno. Un giorno su 365 non è la fine del mondo.
Certo è così. Ma anche un solo giorno può essere deleterio. A meno che…
È proprio facendo tesoro di questo “a meno che” che il Parco nazionale del Vesuvio, vincendo non poche ritrosie e preoccupazioni, da anni consente che, d’intesa con la fondazione Pomigliano Jazz, si esegua un concerto proprio sul gran cono. Un concerto jazz, naturalmente, nell’ambito della rassegna che da tanti anni si svolge a Pomigliano e nei comuni vesuviani.
Scandalo? No perché tutto avviene nel massimo rispetto consentito: alla luce naturale, senza impianti di amplificazione del suono, alla presenza di un numero “contenuto” (sostenibile dall’ambiente) di spettatori i quali sono perfino invitati a non applaudire rumorosamente, ma ad agitare le mani in segno di approvazione e di contentezza.
Chi vi è stato sa quanto emozionante sia un evento del genere. E ben lo sanno i musicisti che vi si sono esibiti, da Marco Zurzolo e Richard Galliano a Maria Pia De Vito, ad Enzo Avitabile, a Enrico Rava, a Paolo Fresu…
Certo nessuno si sognerebbe di portarvi un orchestra con qualche decina di strumentisti. Non sarebbero graditi (dalla fauna, intendo) i Rolling Stones (anche perché di pietre rotolanti il Vesuvio ne ha già di sue), ma vocalisti come la De Vito e “solisti” come quelli che vi si sono esibiti non mi risulta abbiano mai negativamente impattato su flora e fauna vesuviana.
Allora traggano esempio da questa collaudata esperienza gli organizzatori e gli oppositori del concerto al Plan de Corones e avvertano Jovanotti e spettatori di godersi la musica senza far chiasso. Perché, come ricordano i versi di una bella canzone napoletana (Libero Bovio e Gaetano Lama), il silenzio – montano, marino, cittadino – non è solo muto, vi può essere anche un ancor migliore e splendido “silenzio cantatore”.